Umano, troppo umano.

Umano, troppo umano.

Homo sum. Nihil humani a me alienum puto“. Sono un uomo. Nulla di ciò che è umano giudico a me estraneo. Questa celebre e proverbiale sentenza, derivata dall’Heautontimorumenos di Terenzio, ha assunto nei secoli valenza emblematica, a indicare la condiscendenza e la curiosità umane verso tutto ciò che è umano, specie le debolezze e le miserie. La frase è stata ripresa dagli umanisti, a indicare la dignità umana, e successivamente parafrasata da Dostoievskij nei Fratelli Karamazov (“Satana sum…”) e fatta propria da Sade, che ne fece l’incipit della sua più nota e famigerata opera.

Tuttavia, se è comprensibile che la massima sia assurta a simbolo dell’umanesimo laico e si sia prestata a interpretazioni le più diverse, finanche in senso anticristiano, ben singolare è che essa, mutatis mutandis, assurga a nuovo slogan ecclesiale, a un “è compito della Chiesa interessarsi di tutti“, come affermato nientemeno che dal capo dei vescovi italiani, per giustificare la benedizione a coppie di omosessuali e adulteri. Se le parole hanno ancora un senso, tale affermazione supera addirittura, per zelo, la sentenza laicissima e umanissima summenzionata: se infatti questa si appella alla comprensione delle debolezze, originalità, miserie umane dei nostri simili in nome della condivisione di una comune umanità tra noi e loro, quella afferma addirittura il dovere di un interessamento verso tutti gli uomini (generico e senza un fine dichiarato), e non già da parte del singolo uomo (homo sum) verso altri uomini in quanto uomini come noi, bensì da parte della Chiesa, che è sposa e Corpo mistico di Cristo.

La Chiesa, soprattutto, a differenza dei singoli uomini che sono portati, per ragioni più o meno nobili, a interessarsi del prossimo (empatia, solidarietà, mera o morbosa curiosità, complicità, ecc.), non ha, come compito costitutivo e dichiarato per voce del Suo fondatore, quello di interessarsi di tutti – come farebbe un filantropo o una dama di società o, peggio, una volgare e impicciona comare – , né quello di conversare, chiacchierare, accompagnare e dare pacche sulle spalle o scrivere trattati antropologici, bensì quello di annunciare a tutti la lieta novella di Cristo (il Vangelo), di insegnare e condurre a salvezza tutti quelli che credono in Lui e si pongono alla Sua sequela.

Ora, non occorre essere necessariamente devoti fedeli e praticanti cattolici per comprendere la differenza tra le due asserzioni. Basta comprendere il significato delle parole – la loro denotazione, connotazione e le implicazioni – e sapere che cosa sia la missione della chiesa, che è missione di salvezza trascendente, non di interesse, condiscendenza, curiosità, vicinanza, compagnia, opere o chiacchiere di varia umanità. Per quelle è sufficiente qualsiasi club, gruppo, sindacato, comitato di quartiere, fondazione filantropica o circolo ricreativo.

Se così non fosse, se non fosse chiaro e visibile l’oceano che passa tra una concezione e l’altra, tra una missione e l’altra, si aprirebbero implicazioni teologiche profondissime e inquietanti. Ma così non può essere… le parole, i concetti, i dogmi di fede rivelati e tramandati nei secoli hanno ancora un senso. O no?